Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 24 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Il “buon dottore” non è un mito del passato, ma una figura di medico che può efficacemente contribuire agli effetti terapeutici delle cure. Il medico che ispira fiducia per la sua preparazione, per la serietà, per la capacità di ascolto e comprensione umana del paziente, genera un intenso effetto placebo che può ridurre la percezione del dolore, attraverso l’induzione nella mente di stati funzionali non coscienti. E’ di questo parere Karin Jensen, resposabile di un team di ricerca del Karolinska Institutet di Stoccolma e della Harvard Medical School, che recentemente ha dimostrato che le risposte al dolore possono essere plasmate da aspettative di cui non si è consapevoli. In altri termini, le qualità del medico agirebbero come messaggi subliminali. Il lavoro di Jensen e colleghi è stato possibile grazie ad evidenze degli ultimi cinque anni. In effetti, fra il 2010 e il 2015, numerosi studi di neuroimmagine hanno fornito indicazioni significative circa le basi delle risposte subliminali. In queste reazioni, che non raggiungono la coscienza, i livelli di attività cambiano nell’amigdala, in rapporto con le emozioni; nell’insula, in relazione alla consapevolezza cosciente; nell’ippocampo, per l’elaborazione di memorie; e, infine, nella corteccia visiva, per ragioni non ancora ben comprese.

 

Si è compreso perché alcune lesioni frontali causano gravi alterazioni nelle interazioni quotidiane senza ridurre abilità di ragionamento e prestazioni ai test. Uno studio condotto da ricercatori olandesi e italiani ha dimostrato che pazienti con danno della corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) non riuscivano ad adeguare le proprie decisioni comunicative alle abilità presumibili nei propri interlocutori. L’insieme dei risultati emersi dallo studio, consentono di ipotizzare che il contributo ai numerosi processi cognitivi nei quali interviene la vmPFC consista nel consentire decisioni basate su conoscenza concettuale aggiornata all’attualità contingente. [Stolk A. et al., Curr Biol. 25 (11): 1469-1474, 2015]

 

Il corpo calloso rivela aspetti della schizofrenia in adolescenti ed adulti. Balevich e colleghi, adoperando la risonanza magnetica nucleare (MRI) e la tecnica DTI (diffusion-tensor imaging) per studiare in pazienti schizofrenici mediante morfologia ed anisotropia il corpo calloso, cioè la principale struttura di connessione fra i due emisferi cerebrali, hanno definito un diverso profilo di alterazione in adolescenti ed adulti. Le patologiche riduzioni di volume documentate da studi precedenti, sono risultate maggiormente localizzate nei segmenti anteriori degli adolescenti e in quelli posteriori degli adulti. Tali risultati suggeriscono che gli stadi iniziali della malattia si caratterizzano prevalentemente per un deficit di connessioni frontali, mentre l’evoluzione cronica decorre con una maggiore compromissione dei collegamenti fra le regioni posteriori dell’encefalo. Gli stessi dati possono far pensare all’esistenza di forme più gravi di schizofrenia ad insorgenza nell’adolescenza, caratterizzate da un maggiore deficit delle principali funzioni psichiche che richiedono l’intervento della corteccia prefrontale. Un riesame fra 10-20 anni degli stessi pazienti, potrebbe dare conferma o confutazione di tale ipotesi [Balevich E. C., et al., Psychiatry Res. 231 (3): 244-251, 2015].

 

Il beneficio del rispetto sacrale: un salutare basso livello di interleuchina-6 (IL-6). Alti livelli di IL-6, una molecola che promuove l’infiammazione, sono causati da emozioni negative ed associati ad una gamma di esiti patologici che vanno dalle cardiopatie alla riduzione di durata della vita. Un team guidato da Jennifer Stellar dell’Università di Toronto, che studia gli effetti sulla salute delle emozioni positive, ha rilevato bassi livelli di IL-6 in volontari che sperimentavano gioia, contentezza, orgoglio e soggezione per rispetto sacrale o timore reverenziale. Ma solo quest’ultimo stato d’animo, usando un metodo di rilevazione statistica accurato, consentiva di prevedere con precisione i livelli di IL-6.

 

L’ossitocina endonasale a persone con traumi psichici produce effetti non previsti sulla risposta dell’amigdala a volti esprimenti paura. La speranza di aver trovato nell’ossitocina un efficace farmaco per il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e gli altri disturbi caratterizzati da ansia acuta ed eccessive reazioni di paura, sembra essere messa fortemente in discussione da recenti risultati. Frijling J. L. e colleghi del Dipartimento di Psichiatria dell’Academic Medical Center di Amsterdam (Olanda) hanno rilevato che una singola somministrazione di ossitocina intranasale può accentuare l’elaborazione della risposta di paura a volti emozionali in persone di recente esposte a traumi; e fra queste, solo nelle donne, si registra anche un aumento dell’attività di elaborazione legata alla paura per volti neutri. Questi risultati possono spiegarsi considerando l’intrinseca proprietà di sistemi neuronici dell’amigdala di aumentare la rilevanza di una percezione per il sistema nervoso centrale; l’ossitocina agirebbe, perciò e particolarmente nelle donne, più da stimolo che da inibitore della risposta allo stimolo evocatore di stress e paura. [Soc Cogn Affect Neurosci. Sept. 17.pii:nsv116, 2015].

 

L’ossitocina endonasale riduce in uomini e donne affetti da PTSD la risposta dell’amigdala a volti esprimenti emozioni. Otto giorni dopo la pre-pubblicazione online dello studio di Frijling J. L. e colleghi, è comparsa una preview online su Neuropsychopharmacology di uno studio condotto da Koch S. B. e colleghi (includenti lo stesso Frijling) che documenta un effetto terapeutico su pazienti affetti da PTSD. A differenza di quanto appare sulle prime, i risultati dello studio non sono in totale contrasto con quelli del precedente, perché in questo lavoro si rileva anche che persone esposte di recente a trauma (come quelle dell’altro studio) e non affette da PTSD, presentavano una risposta accresciuta dell’amigdala. In altri termini, si potrebbe dedurre che l’ossitocina non produca effetti terapeutici in generale dopo un trauma, ma li produrrebbe esclusivamente nei pazienti affetti da PTSD. Rimaniamo molto dubbiosi, ed osserviamo che lo studio di Koch S. B. e colleghi è stato condotto su 21 uomini e 16 donne: un campione abbastanza limitato per potersi ritenere significativo. Ma ci permettiamo di sollevare un’obiezione teorica e di metodo più generale: i sistemi dell’amigdala intervengono in numerosi processi e l’ossitocina è rilasciata in vie neuroniche che mediano effetti anche fra loro opposti (si veda l’aggiornamento della professoressa Cardon: “Ossitocina ed alcool” contestualmente pubblicato in “Note e Notizie 24-10-15”), la schematizzazione secondo cui “l’amigdala media la paura e l’ossitocina la inibisce” è un’ipersemplificazione eccessiva, e la base per un razionale terapeutico di impiego del nonapeptide gemello della vasopressina, richiede ancora molta ricerca [Neuropsychopharmacology doi: 10.1038/npp.2015.299, 2015].

 

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BM&L-24 ottobre 2015

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